Antonio Amico: imparate dai bambini cos'è la speranza

Quando abbiamo chiesto ad Antonio Amico, educatore e presidente dell’Associazione Fionda di Davide, di spiegarci cos’è la speranza, ci ha raccontato un aneddoto molto significativo.

“Mi trovai a parlare di speranza con un medico. Si sentiva un genitore appesantito, mi disse che davanti a sua figlia vedeva una vita simile a un’enorme pozza di fango. Al medico ho risposto: ‘Qualunque sia la dimensione della pozza, porti sua figlia sulle spalle in modo da farle vedere la riva opposta. Non faccia mai perdere una visione di speranza alla sua bambina”.


Intervista ad Antonio Amico


Da oltre 20 anni porti un messaggio di speranza a migliaia di bambini di ogni contesto ed estrazione sociale. Quali sono le principali sfide che incontri?

La sfida maggiore la incontro in molti adulti, disillusi e amareggiati dalla vita, al punto da non riuscire ad immaginare e trasmettere un futuro migliore alle generazioni in arrivo. Al contrario, proprio dai bambini, ho ricevuto lezioni di ottimismo e speranza.

Una volta andai a visitare un lebbrosario in India. Avevo il morale sotto le scarpe: quello che vedevo mi deprimeva molto.

Ad un certo punto, mi avvicinai al letto di un bambino colpito dalla lebbra e, con voce tremante, gli domandai: Come va? La sua risposta, accompagnata da un sorriso gioioso fu: Va tutto bene, grazie!

Sinceramente, non so come potesse provare gioia nella sua condizione, ma fu sincero. Il suo ottimismo mi toccò profondamente.


Intervista ad Antonio Amico


Negli anni è totalmente cambiato l’approccio al gioco. Dal gioco tradizionale si è passati alla realtà virtuale: tanti bambini oggi giocano con sconosciuti, con i quali condividono solo la connessione a internet. Quali sono, secondo te, i rischi di questa nuova socialità?

Il tessuto sociale è profondamente cambiato, ma questo non è per forza negativo. Anzi, le innovazioni possono essere un miglioramento. Il punto è che ogni cambiamento ha bisogno di tempi giusti. La rapidità della tecnologia, insieme a tanti vantaggi, ha generato squilibri, ribaltando l’approccio alla quotidianità.

Anche l’attività ludica ne ha risentito. Il gioco è per natura educativo e deve portare ad uno sviluppo sia cognitivo sia fisico. Un’attività supportata da movimenti che costringano alla sperimentazione, al confronto, insomma, il gioco deve “metterti in gioco”.

Nell’intrattenimento digitale i movimenti sono assai limitati:

qualche semplice spostamento dei pollici non basta. Il bambino deve correre, cadere, rialzarsi, interagendo col gruppo di amici.

Solo così, nella vita reale, impari le regole e stabilisci un comportamento che potrà essere applicato alla quotidianità.

Maria Montessori affermava che il gioco è il lavoro del bambino. Grazie a questa attività, il piccolo raccoglie informazioni per la crescita, con la serietà e l’applicazione di chi apprende un percorso lavorativo. I social media alienano dalla realtà, sottraendo al bambino un confronto vero con il mondo che lo circonda.

Giocare con persone delle quali non si conosce neppure la voce non è una cosa buona. Un appello ai genitori: offrite ai bambini la tecnologia filtrando tempi e contenuti, ma non fate assolutamente mancare loro il gioco tradizionale: un’attività che coinvolga tutto il loro essere.


Intervista ad Antonio Amico


Come è cambiato il tuo modo d’insegnare ai bambini temi importanti e immutabili come l’etica, la legalità, i valori spirituali e il rispetto per la vita?

Attraverso progetti di animazione educativa, riusciamo a trasmettere valori in modo permanente. Anche se con il tempo il linguaggio cambia, i concetti rimangono.

La prima cosa che un educatore deve ottenere è essere accettato. Ecco perché un approccio ludico è vincente.

Il bambino prova subito empatia verso chi usa il linguaggio del gioco, predisponendosi a recepire temi anche molto difficili.

La legalità, la carità, la compassione, l’amore di Dio, sono temi che presentiamo a migliaia di bambini ogni anno, ed è meraviglioso vedere come Dio si muove nella loro vita.


Intervista ad Antonio Amico


Come spieghi la povertà a bambini che vivono in contesti di benessere?

I bambini sono dotati di grazia e sensibilità tali da renderli capaci di capire e abbracciare temi collegati alla sofferenza. La fame e la povertà sono argomenti che li toccano profondamente.

Ovviamente devono essere condivisi in modo appropriato.

È impressionante vedere la catena di solidarietà che scatta quando i bambini vengono sensibilizzati ad azioni umanitarie.

In conclusione, quale messaggio di speranza possiamo dare oggi alle persone che hanno deciso di sostenere a distanza dei bambini vulnerabili?

I bambini credono in modo spontaneo. Il concetto di speranza è per loro un vissuto presente. Un bambino, soprattutto nei primi anni di vita, riesce ad esercitare fiducia in modo naturale.

Sostenendo un bambino in difficoltà, non solo rafforziamo le sue aspettative per il futuro, ma riaccendiamo anche la fiamma della nostra speranza. Se alimento la speranza, anch’io potrò continuare a sperare.


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